Oliverio ha il fegato di ricandidarsi

L’annuncio dopo tre anni, quasi quattro, di governo fallimentare della Regione Calabria, di cui il Pd si discolpa a modo suo, giocando a nascondino.

Gerardo Mario Oliverio ha annunciato la sua ricandidatura. Cori di tifosi e silenzi diffusi alla notizia. Il governatore della Calabria ha dunque usato la mossa del cavallo, cara allo scrittore Andrea Camilleri. Dopo aver perduto alla grande nei suoi feudi elettorali, in Sila e in tutto il territorio cosentino, ha furbamente evitato una riflessione sul voto dello scorso 4 marzo.

Salvo brevi dichiarazioni di circostanza, si è sottratto al confronto nel Pd, il suo partito, e ha compiuto un balzo in avanti, incauto quanto risibile. Non un’analisi sulle sue responsabilità, sulle narrazioni di fondi a pioggia e sulle promesse facili di riaperture, per esempio riguardo all’aeroporto di Crotone e agli impianti per sciare a Lorica, segnate da ritardi spaventosi.

Non solo: sulla gestione dei fondi comunitari in Regione c’è il vuoto cosmico, il presidente Oliverio continua a dare i numeri – nel vero senso – e a raccontare storie di fantasia. Intanto la Calabria continua a spopolarsi, la sanità sprofonda nel baratro, come di seguito dirò, e i tirocini sono la sola ricetta per masse di precari depressi da una burocrazia ingolfata quanto sorda e malata; si vedano le decine di lavoratori da mesi in attesa di contratto (a termine) presso il Tribunale di Vibo Valentia.

All’Azienda ospedaliera di Reggio Calabria è scoppiato il caos: la Regione ha contestato il mancato possesso dei titoli previsti al dg Frank Benedetto, individuato, manco a farlo a posta, dalla giunta regionale e nominato dal presidente Oliverio, che ora tace come sempre.

Riepilogo. L’esecutivo di Oliverio sceglie il soggetto da collocare alla guida dell’Azienda ospedaliera, la subordinata struttura tecnica ne contesta i requisiti e il governatore non assume alcuna posizione: non decide, seguendo una prassi che ne ha caratterizzato il mandato, pieno di nomine illegittime. Ne sono un esempio emblematico quelle di Santo Gioffrè, Domenico Pingitore, Antonio Belcastro e Franco Pacenza.

Per non parlare del pasticcio della legge regionale che ha favorito la proroga dell’incarico dei commissari delle aziende sanitarie e dell’abbassamento, con deliberazione di giunta, dei requisiti richiesti dalle norme nazionali per la nomina di direttore generale delle medesime aziende.

Se non bastasse, c’è la patata bollente del dg dell’Asp di Reggio Calabria, Giacomino Brancati, che il commissario Massimo Scura ha invitato a dimettersi e che la Procura di Locri ha accusato di «non comune incapacità», iscrivendolo nel registro degli indagati per gravi disservizi negli ospedali di Locri e di Melito Porto Salvo. E c’è l’immobilismo di Oliverio (e di Scura) sulla sicurezza dei Punti nascita calabresi, sul recupero degli ospedali montani e periferici e sull’annoso, irrisolto e ancora rinviato problema della riapertura dei reparti dell’ospedale di Lamezia Terme, del quale è indispensabile il rilancio.

In questo sfasciume pendulo, i parlamentari del Partito Democratico Ernesto Magorno, Enza Bruno Bossio e Antonio Viscomi trovano il coraggio di auspicare la ricostruzione del Pd proponendosi come oppositori del prossimo governo nazionale. Ma tacciono a oltranza sul totale degrado della Regione Calabria, compresa la bufala (del Pd) delle stabilizzazioni dei circa 5.000 Lsu-Lpu utilizzati e sfruttati nei Comuni.

La battaglia politica è appena iniziata. Ci siamo attrezzati con le armi della verità, le uniche in grado di liberare la regione dall’eterna farsa del palazzo.