Io con il “Mancio” e lo spirito di squadra

Con insolita faccia da Facebook, eccomi assieme al commissario tecnico della nazionale di calcio italiana, Roberto Mancini, campione del pallone e allenatore di successo.

Il ct è venuto in Calabria quale ospite della nona edizione del Premio Ceravolo, dedicato al compianto presidente del Catanzaro Nicola Ceravolo, nel 1971 artefice del salto in A della squadra giallorossa.

Mancini ha riferito di apprezzare la storia di Ceravolo, definendone la personalità come «molto simile a quella del presidente» della sua «Sampdoria, Mantovani». Ha poi auspicato che la Nazionale torni a essere vincente e a unire gli italiani, «dal profondo Sud all’estremo Nord».

Quindi Mancini ha alluso al rilancio, dopo l’esclusione dall’ultimo campionato del mondo, della Nazionale, «che ha una storia importante e non può restare fuori da competizioni così prestigiose».

Inoltre ha parlato della «scelta di amore e di cuore» come ct, incoraggiato i giovani e detto che nel calcio italiano «forse non c’è il fuoriclasse come nel passato, ma i Mondiali hanno dimostrato che chi aveva Messi o Ronaldo ha avuto difficoltà».

Ora, pure io sono uno sportivo, in particolare amante della vela, della moto e delle escursioni. Trovo nelle parole di Mancini uno spunto importante. L’Italia dovrebbe fare squadra nell’interesse nazionale; il che comporta anche un impegno per rimuovere le diseguaglianze tra il Nord e il Sud del Paese, al di fuori di schemi e condizionamenti ideologici.

L’Italia dovrebbe puntare soprattutto sull’intelligenza e la voglia di mettersi in gioco dei giovani. Mi muovo esattamente in questa direzione, sapendo che dobbiamo dare agli italiani libertà e felicità, riconoscendo il merito.

In fondo si tratta di restituire ai cittadini i sentimenti e le gratificazioni di chi naviga in mare, viaggia in motocicletta e cammina con fatica per le montagne. Oppure di chi vince una finale grazie allo spirito, al gioco del gruppo.