11 motivi per dire no al ponte sullo Stretto di Messina
Con buona pace del senatore Matteo Renzi, del ministro Dario Franceschini e della solita destra parolaia, non c’è una sola ragione per investire altre risorse pubbliche sul ponte dello Stretto.
L’impatto e i rischi sismici
Infatti l’opera avrebbe un impatto ambientale devastante, peraltro in una delle zone più soggette a terremoti dell’intero del pianeta. Ciò come se non fossero serviti i tragici sismi di Messina e Reggio Calabria del 1908 e del 1783. Nell’indagine tecnica del ponte sullo Stretto figurano i pesanti rischi in caso di terremoti. Paradossalmente, poi, nella relazione geologica è rinviato al progetto esecutivo l’aggiornamento dei profili sismici di quello preliminare.
Il volume della deturpazione ambientale
Parliamo di un’infrastruttura con attraversamento aereo delle due sponde mediante un sistema di torri alte 392 metri, appoggiate su coppie di pilastri di 55 e 48 metri di diametro alla fondazione. Completano l’opera dei collegamenti ai massicci blocchi di ancoraggio: di 291.000 mc in Sicilia e di 230.000 mc in Calabria. Vanno poi aggiunte colossali rampe di accesso, mentre la campata unica dell’opera è di 3.300 metri, con impalcato corrente, stradale e ferroviario di 60 metri. In sostanza si andrebbe a ridisegnare lo scenario naturale, che assumerebbe i contorni della baia, piuttosto che quelli dello stretto.
I milioni buttati al vento: nessun progresso per il Sud
Se non bastasse, lo Stato ha speso in 30 anni oltre 312 milioni di euro per tenere in vita la concessionaria Stretto di Messina. Questo capitale, colpevolmente disperso, direi anche dolosamente, non ha avuto alcun ritorno per la collettività: il Sud è rimasto sganciato dal resto dell’Italia, sia per i trasporti interni che per le infrastrutture necessarie alle attività di impresa, al turismo e agli spostamenti in generale.
Il governo ha già finanziato infrastrutture utili
Oggi, poi, le merci sono movimentate in prevalenza per mare. Si risparmiano costi e tempo. Di più, il governo ha già stanziato risorse per interventi infrastrutturali importanti, che consentirebbero a territori meridionali ancora isolati di superare condizioni di grave svantaggio. Penso alla Statale jonica calabrese e al rilancio del porto di Gioia Tauro, cui l’esecutivo nazionale sta prestando costante attenzione, intanto grazie all’impulso e all’impegno di noi 5 Stelle.
Il Movimento 5 Stelle rivendica la tutela ambientale
Soprattutto, per il Movimento 5 Stelle è essenziale concentrarsi sulle politiche di tutela ambientale e rivendicarle con forza, in un contesto in cui, nonostante la pandemia da coronavirus, si mantiene il forte istinto propagandistico di distribuire denaro a pioggia, senza una visione e un progetto di sviluppo sostenibile.
Invertire la rotta: basta con gli affari a danno dei territori
In altri termini, il governo e le autonomie territoriali sono chiamati a definire, alla luce delle risorse del Recovery Fund Plan (e del Mes in ambito sanitario), una programmazione sulla base dei bisogni e fabbisogni delle diverse aree del Paese, che necessita di scelte politiche attente e di lungo respiro.
Per troppo tempo il potere pubblico ha favorito alla luce del sole gli interessi delle “cricche”. Mi riferisco, ad esempio, agli affari sugli inceneritori, sulle centrali a biomasse e sulle discariche private, che non hanno permesso, specie in Calabria, l’avvio del riciclo e del riuso dei rifiuti, lo sviluppo delle energie verdi e della green economy, a tutto discapito della creazione di lavoro vero, di indotto e di benessere comune.
Questo è il momento di invertire la rotta, partendo dalla ricchezza rappresentata dall’ambiente, sia per la salvaguardia della salute che per la crescita di economie sostenibili, anche con la creazione di specifiche Aree No Tax che al Sud agevolino, tra le altre, le imprese di questo settore. Ce lo insegna la drammatica storia del Covid, che probabilmente, come indicano gli studi più recenti, si è diffuso in misura drammatica nelle zone con maggiore presenza di particolato in aria. Per inciso, a riguardo ho chiesto al governo di promuovere approfondimenti specifici, anche per il tramite dell’Istituto Superiore di Sanità.
Ulteriori ragioni dell’inutilità del Ponte
1) Il bando di gara prodotto dal ministero chiedeva una mera analisi economica, non una valutazione del rapporto costi-benefici.
2) Non è pubblico il contratto del ponte (il vincitore gara è Eurolink, tra i cui soci compaiono Salini Impregilo), che vale 3,8 mld di euro. Nella delibera Cipe n. 136/2012 il costo invece è pari a 8 miliardi e 549,9 milioni. Posto che non è chiaro se tale ultimo importo includa le opere di accesso e gli oneri finanziari, restano da trovare 7322 milioni di euro essendo disponibili soltanto 1227 milioni.
3) In quanto al fattore occupazione, non conviene costruire il Ponte. Questo poiché è assodato che nei cantieri avviene la prefabbricazione con ferro e cemento di interi manufatti e dunque nella fattispecie non si impiegherebbe molta manodopera.
4) Nel 2020 lo sviluppo del Sud può derivare senza dubbio dalle bellezze naturalistiche e paesaggistiche da valorizzare, dalla tradizione enogastronomica e dalla creazione di un polo delle energie rinnovabili in questa fase di decarbonizzazione dei cicli economici.
5) Assume enorme rilievo la rimodulazione degli investimenti del gestore della rete elettrica nazionale, Terna, a proposito delle reti di trasmissione e di distribuzione dell’energia. Stessa considerazione vale in merito a una nuova definizione, da perseguire, del piano per la banda larga, funzionale all’Internet delle cose e all’utilizzo delle tecnologie digitali. Insomma, il Mezzogiorno ha bisogno di ben altro, non di un’opera, come il ponte sullo Stretto, fuori del tempo e delle sue dinamiche.
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