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Il 50% del Recovery Fund si spenda per la transizione ecologica

Tutti ricordano la preghiera solitaria di Papa Francesco dello scorso 27 marzo. Piazza San Pietro vuota, nuvole, buio, pioggia, silenzio, smarrimento generale e il pontefice raccolto, coraggioso, profetico, a cercare l’unione, l’unità di tutti. Rammento un passaggio straordinario di quella supplica a Dio e agli uomini. «È il tempo di scegliere – disse Francesco – che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è».

In un mondo segnato dalla pandemia, dalla crisi economica, dal capitalismo che divora l’ambiente e la vita, dal conseguente mutamento del clima e dagli effetti sulla salute e la speranza di ciascuno, quelle parole risuonano potenti come un monito, come una necessità da accogliere e tradurre in azioni concrete, soprattutto nei palazzi del potere politico.

Così, con i colleghi deputati della commissione Ambiente abbiamo subito raccolto il recente appello di 100 esponenti di aziende e associazioni imprenditoriali italiane volto a orientare gli investimenti europei verso la transizione ecologica e climatica, basata su tre punti fermi: aumentare dal 37 al 50% la quota di finanziamenti del Ricovery Fund dedicati al clima; stabilire criteri climatici stringenti per destinare le risorse,sulla scorta del regolamento europeo denominato “Tassonomia per la finanza sostenibile”; predisporre una lista di esclusione delle attività anti-clima da non finanziare, per esempio la centrale a biomasse del Mercure, poiché incompatibili con il taglio delle emissioni previsto dagli impegni in sede Ue.

Ci siamo battuti ovunque perché l’Italia e l’Europa si ponessero l’obiettivo della neutralità climatica al 2050 e della riduzione del 55%, alla data del 2030, delle emissioni di gas serra. Abbiamo peraltro insistito (a oltranza) su un aspetto essenziale: i fondi del Recovery vanno rapportati all’effettiva capacità, dei vari progetti, di contribuire ai predetti obiettivi.

Infine, a proposito dell’esclusione dai finanziamenti per chi non concorre a questi scopi, a nostro avviso l’opzione va considerata senza tentennamenti. In particolare, occorre ragionare sull’utilizzo delle risorse di cui beneficiano le imprese inquinanti, cioè i cosiddetti «sussidi ambientalmente dannosi», che invece potrebbero essere destinati alla riconversione delle loro attività, come ha ribadito a più riprese il nostro ministro dell’Ambiente, Sergio Costa.

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